H.H.Holmes “Modus Operandi”di Pierpaolo Mantovani

Henry Howard Holmes

Herman Webster Mudgett alias Henry Howard Holmes, è stato il primo killer seriale urbano nella storia degli Stati Uniti d’America. A lui sono stati attribuiti ventisette omicidi accertati, ma si conta che abbia ucciso tra il 1893 e il 1896 più di centocinquanta persone. 

Durante l’Esposizione Universale del 1893 Chicago aveva attirato migliaia di visitatori, perlopiù giovani ragazze di provincia in cerca di un lavoro e di una vita migliore. Holmes aveva costruito un albergo che occupava un intero isolato con annessi alcuni negozi dove, secondo la sua mente criminale, avrebbe attirato le sprovvedute ragazze, le avrebbe sedotte e poi uccise brutalmente. Ma tra le sue vittime non ci sarebbero state solo giovani donne, la polizia di Chicago durante una perquisizione nell’albergo, dopo la sua condanna, trovò resti di bambini e parti anatomiche appartenute ad uomini, forse suoi dipendenti o collaboratori.

Il palazzo si sviluppava su tre piani: al piano terra si trovavano una farmacia, ed una gioielleria entrambi di sua proprietà, più altre attività. I piani superiori erano stati adibiti ad albergo, con più di settantacinque camere e alcuni appartamenti compreso il suo studio e il suo alloggio. In questo luogo tetro e oscuro, che gli abitanti del quartiere chiamavano “il Castello”, il dottore compì la sua mattanza.

La costruzione era stata concepita come un enorme labirinto, con corridoi intricati, botole e passaggi segreti. Le stanze avevano alle pareti dei bocchettoni da cui Holmes faceva uscire gas, uccidendo le sue vittime nel sonno. In alcuni casi, dopo averle stordite con il cloroformio, le bruciava in un forno crematorio che aveva fatto istallare nel seminterrato. L’albergo era una trappola mortale che non lasciava scampo ad i suoi avventori. Il dottore spesso, dissezionava le sue vittime, ne ripuliva gli scheletri e li rivendeva alle Università dello stato che pagavano bene, e difficilmente ne chiedevano la provenienza.

Il mio racconto breve si ispira a questi tragici fatti. Ho cercato di immaginarmi come agisse, il suo modus operandi, e come riusciva a circuire le giovani donne che capitavano nell’albergo.

Nessun criminologo o psicologo è riuscito a capire cosa spingesse Holmes a tanta crudeltà. Qualcuno ha ipotizzato che qualcosa di soprannaturale lo guidasse nei suoi efferati omicidi, molti lo consideravano un demonio.
Da qui l’appellativo “Arcidiavolo” che ha accompagnato la sua figura fino ai giorni nostri.

Il “Castello”

” Modus Operandi “

Un racconto breve di Pierpaolo Mantovani

Quando Jennie Thompson scese dal treno, fu subito colpita dall’aria viziata della stazione ferroviaria, era pregna dell’odore dei suini macellati misto a quello d’antracite dell’Illinois e frutta marcia.
Chicago era famosa in tutti gli Stati Uniti per i suoi macelli pubblici, ma adesso era salita alla ribalta della cronaca, perché sede della World’s Columbian Exposition. L’ Esposizione Universale del 1893 aveva attirato migliaia di persone nella città, perlopiù giovani ragazze di provincia in cerca di un lavoro e di una vita migliore.
Jennie era partita da Minneapolis con tutti i suoi risparmi, ottocento dollari.

Li aveva guadagnati facendo la segretaria in uno studio medico nella piccola cittadina del Minnesota. Adesso era li in quella grande città dove il rumore continuo dei treni che l’attraversavano si mescolava a quello dei carri che trasportavano merci. Era frastornata  ed un po’ spaventata, ma nello stesso tempo eccitata al pensiero di essere a Chicago. Le opportunità che le si presentavano davanti erano tantissime e lei voleva coglierle tutte.

Sulla pagina degli annunci di lavoro del “Chicago Tribune” un medico di nome H.H.Holmes cercava per la sua attività, una segretaria con esperienza come stenografa e dattilografa. Si richiedeva inoltre bella presenza e disponibilità ad orari di lavoro molto lunghi. L’ indirizzo dove presentarsi era presso la H.H Holmes Pharmacy all’angolo della 63^ strada e Wallace nel sobborgo di Englewood periferia meridionale di Chicago.  
Jennie aveva venticinque anni ed era di una bellezza prorompente. I lunghi capelli biondi, raccolti in un ciuffo, mettevano in risalto la delicatezza del  suo viso. Il suo corpo era  ben proporzionato sebbene fosse più alta della media per l’epoca.

Quando si trovò davanti al fabbricato che ospitava la farmacia, rimase colpita dalla sua grandezza. Occupava un intero isolato, ma la cosa  che la colpì ancora di più era il suo aspetto tetro, che strideva con la luminosità delle costruzioni che lo circondavano.
Si fece coraggio spinse la porta e con un po’ di timore entrò all’interno. La farmacia era spaziosa e ben arredata. Sul bancone spiccavano lozioni e unguenti di ogni genere ed in grossi barattoli di vetro facevano bella mostra di sé uno svariato numero di erbe curative.

«Buongiorno signorina, posso esserle utile in qualcosa?» disse una voce alle sue spalle.
Jennie si voltò bruscamente colta di sorpresa e con la voce rotta dallo spavento rispose: «Buongiorno sono Miss Thompson, Jennie Thompson e vorrei parlare con il dottor Holmes riguardo l’annuncio per il posto da segretaria».

L’uomo che le era davanti la fissò intensamente, il suo sguardo aveva un magnetismo difficile da evitare. Gli occhi di un azzurro intenso non si staccavano da quelli di Jennie. La ragazza si sentiva a disagio, ma era affascinata da quell’uomo. Era decisamente bello, ed i suoi modi garbati in qualche modo la tranquillizzavano

.Lui le si avvicinò, le prese il braccio, e con tono gentile disse: «Dottor Henry Howard Holmes, a sua disposizione, come non poter dare attenzione ad una così splendida ragazza?» Quel modo di fare così diretto era inconsueto per quei tempi. Il dottor Holmes in pochi secondi aveva rotto tutti gli schemi di comportamento che un uomo doveva avere nei confronti di una donna, alla fine dell’ottocento.
Jennie aveva lo stomaco in subbuglio, era eccitata per quel modo di fare così insolito, si rese conto che a Chicago tutto poteva accadere e che quell’uomo così affascinante ne era la prova.

«E così è interessata all’impiego di segretaria» continuò Holmes.
«Se vogliamo accomodarci nel mio ufficio, sarò felice di spiegarle quali dovrebbero essere le sue mansioni».

Il dottore parlava già come se avesse deciso di dare il lavoro a Jennie, e la ragazza ne rimase sorpresa.
Dopo aver affidato la gestione della farmacia ad un commesso, la invitò a seguirlo al piano superiore. Holmes si era riservato una porzione del primo piano per il suo ufficio ed il suo alloggio, il resto, compreso il secondo piano,  era stato adibito ad albergo, con svariate camere ed alcuni appartamenti. I corridoi si snodavano in modo bizzarro, formando numerosi anditi che si aprivano nelle direzioni più strane. Il tutto era illuminato da lampade a gas la cui luce fioca rendeva l’ambiente lugubre e buio.

La cosa che colpì in modo particolare Jennie fu il forte odore di medicinali misto a quello di detergenti che si diffondeva in tutto il palazzo. La ragazza pensò che fosse normale, dopotutto era la casa di un dottore.
Holmes la precedeva spiegandogli come l’albergo fosse occupato da tanti clienti giunti a Chicago per la grande Esposizione e che contava di riceverne altrettanti prima della sua chiusura.

L’ufficio era molto spazioso e luminoso, occupava l’angolo del palazzo ed era ben arieggiato. Al suo interno l’arredamento era semplice, con due scrivanie poste una di fronte all’altra. Su un lato della stanza, vicino alla porta d’ingresso, c’era un’altra porta da cui molto probabilmente si accedeva ad una stanza adiacente allo studio. Holmes fece accomodare Jennie su una poltrona ma mentre stava iniziando a parlare qualcuno da fuori bussò.

«Avanti». Disse Holmes. La porta si aprì lentamente. «Buongiorno dottore» disse una signora di mezz’età con voce fioca.
«Buongiorno signora Lawrence, avete bisogno di qualcosa?» Chiese Holmes in modo cordiale.
«Mi scuso per il disturbo, non sapevo fosse in compagnia», rispose la signora.
«Volevo sapere se avete qualche notizia della signorina Emeline» continuò con tono preoccupato.

Holmes che di solito fissava i suoi interlocutori in modo deciso evitò di incrociare lo sguardo della donna.
«Oh miss Emeline? E’ partita per andarsi a sposare» rispose con sufficienza. La donna lo guardò sorpresa. «Non è possibile! Non posso credere che la mia cara Emeline se ne sia andata così, senza dirmi niente. Si è sempre confidata con me. E poi chi sarebbe lo sposo?» domandò.
«Un certo signor Phelps, che la signorina Emeline ha conosciuto da qualche parte. So solo che fa il commesso viaggiatore e niente di più» rispose sbrigativo Holmes. «Comunque se avrò altre notizie sarà mia premura avvisarla signora Lawrence».

La donna lo guardò dubbiosa, poi con tono gentile disse: «Grazie dottore, mi scuso ancora per averla disturbata, e mi scuso anche con lei signorina se sono stata inopportuna».
La donna si congedò dai due, ma prima di chiudere la porta lanciò un’ultima enigmatica occhiata a Jennie che ne rimase piuttosto infastidita.

«Mi scusi per la signora Lawrence» disse Holmes. «Purtroppo certe signore si affezionano facilmente alle persone, la solitudine non è semplice da sopportare specialmente ad una certa età». Poi sedendosi di fronte a Jennie, con lo sguardo fisso nei suoi occhi, disse: «Bene signorina Thompson, veniamo a noi. Lei dovrà occuparsi della contabilità e di tutte le questioni riguardanti le mie attività. Come avrà notato al piano di sotto oltre alla farmacia, ci sono un ristorante ed una gioielleria tutti di mia proprietà. Il lavoro è molto, ma credo che lei sarà in grado di svolgerlo al meglio. Una tale bellezza credo non mi deluderà».

Lei sentì le guance prendere fuoco, quell’uomo era davvero affascinante. C’era qualcosa in lui che la metteva in confusione. I suoi modi garbati, la sua posizione sociale, nonostante avesse poco più di trent’anni, ma sopratutto la sua bellezza, avevano scombussolato il suo cuore come una tempesta arrivata all’improvviso.
«Ah dimenticavo… La paga è di dodici dollari a settimana». concluse Holmes.
Inutile dire che Jennie Thompson accettò subito il lavoro. Dodici dollari a settimana erano il doppio di quello che guadagnava a Minneapolis. Con un po’ di sacrificio presto avrebbe potuto avere una casa tutta sua.

Prese alloggio in una piccola pensione vicino al posto di lavoro. L’anziana signora che la gestiva ebbe per lei subito simpatia, ma quando seppe che la ragazza avrebbe lavorato per il dottor Holmes non nascose la sua preoccupazione.

«Così vai a lavorare al Castello? Tutti qui nel quartiere chiamano così quel tetro palazzo».
Guardando Jennie con affetto continuò: «Sai ho visto entrare tante ragazze in quel posto, ma di loro non ne ho saputo più nulla».

 Poi, quasi a volersi scusare, aggiunse: «Non che il dottor Holmes non sia una brava persona, anzi è sempre molto gentile con i suoi dipendenti, sicuramente qualcuna di loro si è stancata del lavoro e ha deciso di cambiare aria senza dare nessun preavviso. Comunque non ti preoccupare cara, penso che ti troverai bene a lavorare per lui».
Jennie non dette peso a quelle parole, tutto era perfetto e lei era entusiasta di tuffarsi in quella nuova avventura.

Il lavoro era duro, perché gestire tutti gli affari del dottore non era facile, ma era felice, la vicinanza di quell’uomo la faceva sentire al settimo cielo.
Holmes, che aveva intuito la vulnerabilità della giovane, cominciò a corteggiarla. Con lei trascorreva la maggior parte delle giornate trattandola come fosse una Principessa. Insieme andavano a fare lunghe passeggiate in bicicletta e spesso
la portava a teatro e a cena nei migliori ristoranti di Chicago, finché un giorno le propose di trasferirsi al “Castello”.

«Sai Jennie, penso che dovresti trasferirti all’albergo» le disse stringendole le mani.
«Così potremo stare più vicini, e io potrei prendermi cura di te» continuò. «Non posso offrirti un appartamento perché sono tutti occupati, ma ho una stanza bellissima pronta ad accoglierti».
Jennie non credeva che tutto ciò potesse accadere proprio a lei, e con la gioia nel cuore accettò la proposta, forse un giorno, nemmeno così lontano, quel bellissimo dottore le avrebbe chiesto di sposarlo.

La camera era buia, illuminata da piccole lampade che la rendevano ancora più scura, ma comunque pulita e confortevole. Fuori la notte di Chicago era appena iniziata. Jennie non riusciva a prendere sonno, quel luogo in qualche modo la metteva a disagio. Quell’odore pungente di medicinali, sempre presente nell’albergo, penetrava fin dentro la stanza come se qualcuno lo alitasse attraverso le pareti. Era la prima notte che trascorreva al “Castello” ed ogni rumore per lei era nuovo. Con molta fatica riuscì a prendere sonno, ma durante la notte fu svegliata da qualcuno che cercava di entrare nella sua camera.

«Chi c’è» urlò ad alta voce.
Fuori dalla stanza stavano armeggiando alla serratura.
«Chi c’è, cosa volete?» Urlò ancora.
Il silenzio piombò nel corridoio, ma Jennie sentiva che fuori c’era sempre qualcuno. Si alzò dal letto ed in silenzio si avvicinò alla porta, tese l’orecchio e sentì chiaramente dei passi che si allontanavano. Non riuscì più a prendere sonno ma la mattina seguente non disse niente a Holmes, non voleva farlo preoccupare per niente, forse qualche cliente ubriaco aveva sbagliato stanza e non pensò più all’accaduto.

Era circa mezzogiorno quando il dottore entrò nell’ufficio dove Jennie stava riordinando alcune fatture, si sedette alla scrivania di fronte, e rivolgendosi alla ragazza disse: «Sai cara, ho pensato che potremo fare un viaggio» i suoi occhi erano pieni d’amore.
«Avevo pensato all’Europa».
Jennie alzò lo sguardo incredula, non aveva parole.
«Visiteremo Londra, Parigi, Roma. E poi quando torniamo, se lo vorrai, sarei felice che tu diventassi mia moglie. Che ne pensi signorina Thompson?».

A Jennie mancò il fiato, alzandosi di scatto fece cadere la sedia dietro di sé, poi si avvicinò a Holmes e lo abbracciò forte. «Oh Howard, certo che lo voglio!» disse stringendolo. «Non sai quanto mi rendi felice amore mio» aggiunse la ragazza. «Molto bene è deciso» disse Holmes. «Domani andiamo in centro e compriamo un po’ di vestiti per la mia futura sposa».
I due si baciarono intensamente, la passione di quel bacio fece quasi svenire Jennie, che dovette sedersi per non cadere a terra.

«Tutto bene amore mio?» chiese Holmes preoccupato.
«Sì caro non è niente, sono solo tanto emozionata».
Dopo averle dato un tenero bacio sulla fronte, il dottore tornò a sedersi dietro la scrivania, poi, senza nemmeno rivolgerle lo sguardo le chiese: «Potresti farmi una cortesia. Ho dimenticato nella’altra stanza un documento importante», indicando la porta che si trovava all’interno dello studio. «Saresti così gentile da prendermelo».

Jennie guardò Holmes sorpresa, non l’aveva mai fatta entrare in quella stanza. Era sempre chiusa a chiave e le chiavi le aveva sempre nel taschino della giacca. Holmes aveva percepito la titubanza della ragazza, e con un sorriso che avrebbe convinto anche una statua le disse: «Amore, non avrai paura di entrare lì dentro? È solo una stanza piena di scartoffie e polvere, non c’è l’uomo nero ad aspettarti».
Il suoi occhi avevano una luce diversa mentre pronunciava quelle parole, ed il suo sorriso si era trasformato in una smorfia di disapprovazione.

Jennie non rispose ed in silenzio aprì la porta ed entrò, non si sarebbe mai sognata di contrariare il suo Howard specialmente quel giorno. Dentro fu subito sopraffatta da un odore pungente ma non capì di cosa si trattava. La stanza era completamente buia, senza finestre. Era appena illuminata dalla luce che proveniva dallo studio.
Prima che se ne rendesse conto la porta alle sue spalle si chiuse e la ragazza piombò nell’oscurità più totale. A tentoni riuscì a raggiungerla ma non c’era maniglia, si poteva aprire solo dall’esterno.

«Howard!» gridò forte, ma non ebbe nessuna risposta.
«Howard sei lì?» urlò ancora.
Pensò che Holmes si fosse allontanato un attimo senza accorgersi dell’accaduto. Presto sarebbe tornato e l’avrebbe fatta uscire.

Cominciava a mancarle l’aria, era buio. Per distrarsi cominciò a pensare al viaggio che avrebbe fatto in Europa, ma i minuti passavano e di Holmes non c’era traccia.
Urlò ancora: «Howard ti prego aprimi!»  nessuna risposta. Si tolse la scarpa per battere sulla porta ma quando poggiò il piede a terra sentì un bruciore insopportabile. Cadde per il dolore, le sue mani bruciavano, l’acido che era sul pavimento le stava divorando il corpo. Gridò poi cominciò a piangere. «Howard ti prego dove sei?» disse  tra i singhiozzi.

Lui era dall’altra parte. Ascoltava in silenzio le sue urla. Nessuno poteva sentirla, la stanza era insonorizzata e rivestita d’amianto. Ascoltava, e godeva. Godeva del potere di vita o di morte che aveva sulla ragazza, un potere che lo appagava che lo faceva sentire onnipotente. Poteva entrare nella stanza e salvarla, oppure lasciarla morire nella sofferenza.. Era lui che decideva. Chiuse leggermente gli occhi, e con il sorriso che gli illuminava il viso, spinse una leva e la stanza si riempì di gas. Pochi minuti, e poi il silenzio..

L’incaricato del Hahneman Medical College fu felice di ritirare lo scheletro perfettamente articolato che il dottor Holmes gli aveva fornito, anche se, per essere quello di una donna, era più alto della media. Il dottore incassò quanto dovuto, e ringraziando, promise che presto avrebbe provveduto ad altre forniture.

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